giovedì 12 maggio 2011

Giorgia, una vita da vegana: "La mia dieta, così completa"

SAN GIOVANNI LA PUNTA. Grazie ad una nostra corsista, Giorgia Mirabella, siamo venuti a conoscenza del veganesimo, una filosofia di vita e una scelta alimentare che esclude il consumo di carne di origine animale e di derivati animali come latte, uova, formaggi etc. I vegani si rifiutano di nutrirsi di qualsiasi cosa comporti lo sfruttamento e provochi la sofferenza di animali e piante.


Giorgia, escludiamo anche i vegetali?


"Tutti i vegetali - risponde - possono far parte della dieta vegana perché non posseggono un sistema nervoso, ad eccezione della carota che invece ne è provvista. Noi vegani prevalentemente consumiamo cerali, legumi, verdure, formaggio di soia, latte di soia, una dieta comunque varia che imprende anche integratori alternativi come l'aloe vera che sostituisce la vitamina B12 contenuta nella carne".


Quando sei diventata vegana?


"Prima, dall'età di sedici anni, dopo avere conosciuto persone che seguivano questo tipo di alimentazione, sono stata vegetariana. Poi, da due anni, essendo contraria per motivi etici allo sfruttamento degli animali, sono diventata vegana. Ovviamente, la consapevolezza di questa scelta è avvenuta con un'approfondita conoscenza del veganesimo e dopo che mi sono confrontata con altri vegani. Io credo che certi comportamenti dell'uomo debbano fare indignare".


Qualcuno osserva però che è legge di natura che il più forte mangi il più debole...


"Però gli esseri viventi sono tutti sullo stesso piano".


Ma il leone mangia la gazzella...


"Il leone non ha capacità di scelta, noi invece possiamo scegliere liberamente".


La dieta vegana può essere una dieta sana o priva l'organismo di qualcosa?


"Va seguita in maniera corretta, non deve limitarsi al consumo di sole verdure, ma con un apporto di integratori può essere considerata un'alimentazione assolutamente sana e completa".


Francesca Micalizzi

Catania calcio, una stagione tra luci ed ombre

CATANIA. Con la salvezza ormai acquisita, grazie alla prima vittoria stagionale in trasferta per 2 -1 sul difficile campo di Brescia, per il Catania calcio è tempo di bilanci. Anche se l’obiettivo di inizio stagione è centrato, c’è da considerare il modo in cui è stato raggiunto. Come nelle passate stagioni, è avvenuto il cambio di allenatore “in corsa” (Simeone per Giampaolo), sintomo di un’errata programmazione iniziale. Risulta essere proprio questo il tallone d’Achille della società gestita dal presidente Pulvirenti. Se da un lato, grazie all’ottimo lavoro svolto dal ds Lo Monaco nello scoprire talenti sparsi per il mondo come Vargas e Martinez, ceduti a un prezzo triplicato a società più blasonate, dall’altro la mancanza di continuità nella guida tecnica non permette al Catania di avere un progetto di gioco ben definito. I risultati ottenuti quest’anno confermano questa lacuna. Lo dimostrano i soli 9 punti ottenuti fuori casa sui 43 di classifica, segnale evidente di mancanza di personalità dei rossazzurri lontani dal pubblico amico. Tra le note più liete ricordiamo l’ottima stagione del centrale difensivo argentino Silvestre che con i suoi 4 goal in campionato attira su di sé le attenzioni di società importanti, come Lazio e Fiorentina. Eccellente l’acquisto di Bergessio, attaccante prelevato dal Saint Etienne nel mercato di riparazione per sostituire Mascara, andato a cercare gloria a Napoli. Mercato di Gennaio in cui la squadra è stata puntellata anche con gli acquisti del centrocampista Lodi e dell’esterno destro Schelotto.

La necessità di rafforzare la squadra con la finestra di mercato indica gli errori di valutazione di precampionato. Stagione iniziata, infatti, col tecnico Giampaolo, ottimo sotto l’aspetto tattico, ma poco vicino dal punto di vista caratteriale all’ambiente catanese. Lo dimostra il feeling mai sbocciato con pubblico, giocatori e società. Non a caso la rescissione del contratto è stata consensuale.

Con l’arrivo del mister Simeone la squadra ha forse perso qualcosa sotto l’aspetto tecnico, ma ha ritrovato la grinta dell’era Mihaijlovic. Lo dimostrano risultati importanti come il 4 – 0 casalingo nel derby col Palermo e il 2 – 2 ottenuto al 95’ a Torino con la Juve. Dopo l’ennesima stagione tribolata con permanenza in serie A agguantata nelle ultime partite, per il Catania calcio è arrivato il momento di fare il salto di qualità. Bisogna investire in maniera mirata, rafforzare il settore giovanile e, soprattutto, dare alla squadra un’impronta di gioco chiara e duratura per puntare a traguardi più prestigiosi che una piazza come Catania decisamente merita.

M. Gabriella Puglisi

Friscaleddi, cianciani e trocculi: il gruppo Vecchia Jonia custode del folklore siciliano




GIARRE. Le tarantelle ritmate e veloci, i canti e le coreografie rivolte ai mestieri del tempo: “u chiovu”, “a cialoma”, “u iadduzzu”; ancora, balli dedicati al duro lavoro delle donne, come quello di lavare le lenzuola nei fiumi (“u linzolu”) o quello di lavorare il grano (“u criu”); o anche danze che raccontano le varie festività e ricorrenze: “a vinnigna”, “a jolla”. Il tutto accompagnato dai colori sgargianti dei costumi e l’uso di particolari attrezzi con i quali i vari lavori venivano svolti. È questo il patrimonio dell’arte siciliana che il gruppo folk “Vecchia Jonia città di Giarre e Riposto” diffonde in giro per il mondo.
«L'Associazione culturale si è costituita il 17 Ottobre 2008 per volontà di alcuni giovani profondamente legati alla loro terra e uniti dal comune interesse di conservare, divulgare e tramandare le autentiche tradizioni popolari di cui è ricca la Sicilia», racconta il presidente Egidio Fichera, per spiegare la nascita di questo gruppo folklorico il quale, nonostante la recente formazione, sembra essere già noto e richiesto: si è infatti esibito in diverse manifestazioni quali sagre, raduni provinciali e regionali; ha partecipato a vari programmi televisivi come "Cuochi senza frontiere" condotto da Davide Mengacci su Rete Quattro e, in occasione del carnevale estivo di Acireale, “Linea blu”di Rai Uno.
Michele Bonaccorso, musicista nonché componente e vicepresidente del gruppo, mostrando ogni strumento, spiega: «Le musiche dal vivo sono eseguite con l’uso di chitarre e mandolino, fisarmonica e fischietto (“friscalettu”), del tamburo, del “marranzano” o “scacciapensieri,” e di altri strumenti caratteristici quali: i “trocculi” ( noce di cocco ) la “quartana” o “bumbulu”, le “cianciane”».

«I canti sono frutto di ricerche o di ricordi passati di anziani: serenate, duetti, ninne nanne, nenie e leggende», dice la cantante e direttrice artistica dell'Associazione Patrizia Chillari, conosciuta e apprezzata anche per la pazienza e il tempo con cui si dedica ai bambini insegnando loro il folklore. Saranno proprio questi ultimi, una volta cresciuti, a formare il corpo di ballo degli adulti, come testimonia la ballerina Lorena Trovato: «Faccio parte del gruppo da tredici anni, considero questa attività parte integrante della mia vita e benché essa richieda un costante impegno per le continue prove, è occasione di ritrovo per tutti noi in quanto amici legati da una comune passione».
Emozionanti le parole di Fichera, il quale conclude: «L’attività del gruppo non costituisce, per i ragazzi che lo compongono, un’attività retribuita, ma per ognuno di loro è simbolo di divertimenti, viaggi, amicizie: un'atmosfera basata su tradizioni, sentimenti e complicità, valori che solo una famiglia può insegnare».
Soddisfacenti, dunque, i risultati ottenuti da questi giovani, i quali nonostante siano giornalmente a contatto con le tecnologie e una società che non guarda più al passato, si ritrovano a tenere vive le tradizioni e la cultura di un tempo.

Federica Orefice
Eleonora Caggegi

mercoledì 11 maggio 2011

Un'esperienza utile per conoscere meglio il giornalismo

SAN GIOVANNI LA PUNTA. Diventare giornalisti? Sì! Si può, ma la strada da percorrere è in salita, ecco perché è fondamentale l’esperienza di un corso (in)formativo. Naturalmente non esiste una lista degli “ingredienti” che possa orientare e di conseguenza creare la perfetta figura del giornalista: esiste, però, un punto di partenza.
Grazie al corso Pon, tenuto in questo istituto, a cura del dott. Orazio Vecchio, noi “amanti della penna”, abbiamo acquisito una serie di conoscenze in campo giornalistico, volte a fornire quelle nozioni base necessarie a chiunque voglia intraprendere questa professione.
Il giornalismo è “la prestazione del lavoro intellettuale volto alla raccolta, commento ed elaborazione di notizie destinate a formare oggetti di comunicazione interpersonale attraverso organi di informazione”, ma non solo. Il giornalismo è storia, comunicabilità, cultura, informazione, senso critico; rappresenta un’insieme di valori etici dai quali non si può prescindere per divenire un “bravo giornalista”, come affermò Kapuscinski: “i cattivi non possono essere buoni giornalisti”.
Durante le sessanta ore di lezione abbiamo appreso che: la realizzazione di un giornale è suddivisa in più fasi, esistono diversi metodi di ricerca delle fonti così come esistono diversi tipi di articolo dalla cronaca nera al “coccodrillo”, dal “fogliettone” al reportage. Abbiamo compreso che alla riuscita di un buon pezzo concorre non solo l’argomento in sé , ma essenziali sono il titolo, che ha il compito di catturare l’interesse del lettore, e il lead (l’attacco), che in poche righe deve illustrare il contenuto dell’articolo; che fondamentale è anche il “come” si espone la notizia, in modo chiaro, sintetico, esaustivo ed accattivante.

Carla Mirabella

Chiara Cannuli

Ramat: alla poesia l'uomo chiede verità



CATANIA. “L’uomo vuole la verità dalla poesia, quella verità che egli non ha il potere di esprimere e nella quale si riconosce, verità delusa o attiva che lo aiuti nella determinazione del mondo, a dare un significato alla gioia o al dolore in questa fuga continua di giorni, a stabilire il bene e il male, perché la poesia nasce con l’uomo, e l’uomo nella sua verità non è altro che bene più male”, un pensiero, sempre attuale, espresso da Quasimodo, all’interno del proprio saggio intitolato “L’uomo e la poesia”, per introdurre Silvio Ramat, stimato poeta e critico italiano, protagonista di una gradevole conversazione sul valore contemporaneo dell’arte poetica. “La verità - soggiunge Ramat -, purché s’innalzi in superficie, e la memoria, avente facoltà propulsiva per mezzo della quale si va avanti, senza la quale non si avrebbe genesi, devono essere amiche della poesia che, altrimenti, avrebbe un limite molto forte”.
Quando ha scoperto la passione per la poesia?
“La poesia mi ha preso nell’etere, tra la seconda e la terza liceo. Allora leggevo e amavo molto i crepuscolari, il Pascoli… La poesia, prima non c’era e poi ci fu. Se andrà via temo che non lo capirò nell’attimo dell’abbandono - racconta il letterato”.
Qual è, a suo avviso, la peculiarità dell’essere poeta?
“Il bello del poeta è che può contraddirsi sempre. La poesia non si deve capire allo stesso modo di un articolo o di un resoconto. Sono talmente vanitoso, nei limiti della decenza, che un giorno - aggiunge con spigliatezza -, un amico mi suggerì per gioco di seppellire la nostra peggiore poesia dentro una specie di bara creata di proposito e io, tassativamente, non volli farlo, tanto ero geloso persino di quella che riconoscevo essere la meno bella tra le mie poesie ”.



Nell’epoca inquinata (anche) dalle facili pubblicazioni, in che modo riconosce un vero poeta?
“E’ molto difficile. Sono sommerso. Nel mio studio, in facoltà, ricevo tantissimi libri. Credo, piuttosto, di capire subito quando non c’è un poeta. Le cartine di tornasole sono il riscontro di una cura formale, la modestia degli assunti e la coerenza di un testo”.
Oggigiorno cosa può minacciare la compiutezza di una valutazione critica?
“Nel nostro tempo, senza computer ci si separa dal mondo, seppure, in verità, a volte, non sarebbe poi così male. Il pc è utile ma c’è il rischio che segni la fine degli epistolari e anche delle varianti, ovvero le plurime versioni di un testo, comprese le correzioni apportate, man mano, dall’autore”.
Quando una poesia può dirsi compiuta?
“Si parte da una costellazione e si arriva in un’altra. Ritengo possa dirsi conclusa quando un concetto trova la sua espressione con figuratività icastica”.



Grazia Calanna

Padre Gabriele Allegra, 35 anni fa il "transito" a San Giovanni La Punta



È stato celebrato nei giorni scorsi il 35° anniversario del transito del venerabile frate Maria Gabriele Allegra a San Giovanni La Punta. La celebrazione, promossa dai frati minori di Sicilia e dal parroco della chiesa Madre di San Giovanni La Punta don Orazio Greco, è stata ospitata nella chiesa Madre di San Giovanni La Punta.



Il ministro provinciale dei frati minori di Sicilia, Giuseppe Noto, ed il sindaco di San Giovanni La Punta, Andrea Messina, hanno dato il benvenuto ai tanti partecipanti. Sono state ricordate le origini di frate Gabriele Allegra, la sua povertà, la vita in collegio ad Acireale dove egli studiava e dove, non sempre, i suoi amati genitori riuscivano a pagare la retta. Padre Gabriele Allegra nacque a San Giovanni La Punta nel dicembre 1907. Trasferitosi in Cina nel 1935, iniziò a tradurre la Sacra Bibbia in lingua cinese e, per questo, fu incarcerato e successivamente condannato a morte dal regime comunista. “La mattina in cui dovevano sparagli attraverso la finestra del carcere - racconta la sorella suor Paola - nel momento in cui la guardia carceraria fece esplodere il colpo di fucile, proprio in quell’istante, il caso volle che egli si inchinasse per raccogliere un foglio di carta; fu così che si salvò la vita e, per intercessione degli stessi carcerieri, venne poi liberato”. Padre Gabriele morì ad Hong Kong nel 1976 per ascesso peritonsillare. Nel 1984 il vescovo cinese John Wu promosse la causa di beatificazione e nell’aprile del 2002, alla presenza di Papa Giovanni Paolo II, fu proclamato venerabile.
Quando padre Gabriele Allegra ritornava a S .Giovanni La Punta, il primo incontro era sempre con i suoi cari genitori. Egli si inginocchiava e chiedeva loro la benedizione, tanto era forte la gratitudine per quello che da essi aveva ricevuto. Nel 1923, durante il suo noviziato, diceva ai suoi genitori: “Pregate la Madonna che abbia sempre sotto il suo manto l’indegno suo servo”. Già all’età di quattro anni il piccolo Gabriele, andando con la mamma ad ascoltare la messa, incominciava ad imparare a parlare il latino; a sette anni diventava il chierichetto fisso a servire la messa nella chiesa della Ravanusa. Egli, innamorato della letteratura cinese, amava dire: “Sono puntese, italiano e cinese”.



Salvatore Cifalinò

Grazia e Nhora, tra poesia e prosa alla ricerca della verità

CATANIA. Grazia Calanna e Nhora Caggegi sono due giovani scrittrici catanesi, che hanno descritto le loro emozioni rispettivamente l’una con una raccolta di poesie e l’altra con un romanzo in prosa: la ricerca della verità e la violenza del silenzio sono un binomio comune alle due opere.
Nel romanzo “Il silenzio del salice piangente” la scrittrice Nhora Caggegi tratta di un argomento di forte impatto sociale, l’ermafroditismo. Il romanzo nasce dal desiderio dell’autrice di far conoscere la vera storia di un amico, nella speranza di porre fine alle maldicenze dovute all’ignoranza della gente.
Il protagonista, infatti, sin da quando era piccolo si sentiva prigioniero di un corpo che non gli apparteneva fino a quando, in seguito a dei controlli clinici, scoprirà di possedere delle caratteristiche maschili non solo psicologiche, ma anche fisiche; così, successivamente a degli interventi medici, riconquisterà la sessualità che ha sempre sentito sua. Fondamentale, in questo percorso di conquista della propria identità sarà l’amore, sofferto ma sconfinato, verso una donna, tutt’oggi compagna di vita del protagonista.
Pur non essendo un romanzo autobiografico la scrittrice è riuscita, nell’arco di due anni, a spogliarsi di qualunque pregiudizio e a far sue le sofferenze, le paure e le emozioni di un’altra persona la quale, dopo essersi per molto tempo rifugiata nel silenzio (nel libro il protagonista trova quiete solo ai piedi di un salice), ha trovato il coraggio di gridare al mondo il suo dolore, la sua scomoda verità.
L’apporto della scrittrice è principalmente stilistico. Lo sforzo artistico è riscontrabile nell’adattare le proprie emozioni alla particolare situazione descritta. Tuttavia confessa che non potrà più scrivere una storia che non sente propria, perché per lei è troppo difficile: “Scrivere è un’arte. Tutti riusciamo a scrivere, ma sei uno scrittore solo quando riesci a trasmettere emozioni e sensazioni in chi legge la tua storia. Riuscire a trasmettere delle emozioni che non ti appartengono è una vera e propria sfida e io penso di averla vinta”.
L’approccio della Caggegi con il mondo della scrittura è avvenuto all’età di quattordici anni, con un libro di poesie. Il suo secondo lavoro è stato una raccolta di racconti brevi, ma il suo sogno è quello di fare critica cinematografica: “Scrivo per un piacere interiore, non ho nessun interesse economico”.
Diversamente dalla scrittrice, la giornalista Grazia Calanna si è avvicinata alla scrittura per curiosità: “Essere giornalista significa raccontare il mondo e per raccontarlo bisogna essere curiosi. Io però non mi ritengo una giornalista canonica, scrivo se mi emoziono. Ho un immenso amore per la scrittura”.
Le sue poesie, raccolte nel libro “Crono silente”, sono un grido contro i mali che affliggono la nostra epoca. Già nel titolo dell’opera si possono trovare le due parole-chiave fondamentali per comprendere la lirica della poetessa: da un lato “Crono”, il tempo, che logora e divora la vita dell’uomo, costringendolo ad una corsa sfrenata nell’intento di esaudire i propri sogni; dall’altro lato il “silenzio”, che può essere doloroso, ma anche complice.
L’autrice, osservando la realtà che la circonda e dando voce alle proprie emozioni, affronta diversi argomenti, dalla materialità dell’esistenza umana contemporanea al disagio dell’uomo, dall’ingiustizia alla morte.
Argomento ricorrente nel libro è la solitudine, una condizione che non appartiene realmente alla vita dell’autrice, ma a cui ella non può rinunciare durante il momento creativo: “Grazie alla comprensione che ho ricevuto da chi mi sta intorno, sono riuscita a portare avanti questo lavoro. Il disagio spesso lo percepisco intorno a me. Ho scritto una poesia che parla della condizione degli immigrati e l’ho scritta su un tovagliolo di carta, seduta al tavolino di un bar nella confusione e nell’indifferenza degli altri. La mia poetica nasce dal giornalismo, dalla necessità di guardarsi attorno”.
Come la Caggegi, anche la Calanna afferma di non voler più scrivere un libro di poesie: “La poesia è massacrante, se dovessi tornare indietro non riscriverei nemmeno questo libro. Raccontare e raccontarsi attraverso la poesia è qualcosa di molto personale che comporta uno sforzo enorme. Probabilmente potrei pensare di scrivere un romanzo. Un romanzo è tutt’altra cosa, ma un libro di poesie non lo rifarei”.
Infine, il rapporto di entrambe le donne con le case editrici è stato positivo. La Caggegi racconta di essere affiancata da una persona cara che la segue sin dal principio e che si occupa di tutto; mentre la Calanna precisa che “l’editore non ci fa un favore. Tutti abbiamo il diritto di scrivere ma non tutti abbiamo il diritto di pubblicare. Serve una persona che creda in noi e che apprezzi il nostro lavoro al punto d’essere disposta a investire del denaro. Io sono stata fortunata perché ho trovato questa persona”.


Simona Franceschino
Andrea Franceschino
Eveline Bevilacqua
Maria Leotta