
Moon è stato prodotto da Trudie Styler, moglie di Sting; e diretto dall'esordiente Duncan Jones, figlio di David Bowie. Il primo film del regista trova una brillante sintesi tra: 2001 Odissea nello spazio, Solaris e Blade Runner. La pellicola è ispirata dal libro di Zubrin dal titolo: “Entering Space: Creating a Spacefaring Civilization”(del 1999) che parla della colonizzazione di Marte. Diretto con abbondanza di idee e paradossi (logici, etici, sociali), e con grande economia di mezzi. Salvo la moglie e la figlia in video, c'è infatti un solo attore in scena, lo straordinario Sam Rockwell.
Moon lo si può definire come un ritorno alle origini della fantascienza, dove lo spettatore amante della vecchia rappresentazione fantascientifica piena di riferimenti sociologici, con poche esplosioni e nessun eroe, ritroverà con piacere temi dati per perduti anni addietro. L’essere umano di oggi si trova in una situazione quasi simile a quella constatata dal film e cioè: al punto di non ritorno. L’uomo è colpevole di uno sfruttamento spudorato, a danno di un ecosistema sull'orlo del cedimento ambientale, e in Moon si è visto costretto a cercare una nuova fonte di sostentamento; un’utopia per i tempi che corrono. Nel film inoltre la totale assenza di rispetto, agevolata da una sempre maggior mancanza di un qualsiasi principio etico, morale e sociale, ha portato l’uomo a sostituirsi addirittura al creatore e alle sue leggi di procreazione; cosa che nella realtà sta pian piano accadendo. Infatti, tra le tematiche del film, si parla pure di clonazione umana (stile Blade Runner dove i replicanti erano capaci di piangere) per accentuare la sublime perdita totale della concezione di vita vista come dono, e qui proiettata verso soddisfacimento di un lavoro estremo.
Moon lo si può definire come un ritorno alle origini della fantascienza, dove lo spettatore amante della vecchia rappresentazione fantascientifica piena di riferimenti sociologici, con poche esplosioni e nessun eroe, ritroverà con piacere temi dati per perduti anni addietro. L’essere umano di oggi si trova in una situazione quasi simile a quella constatata dal film e cioè: al punto di non ritorno. L’uomo è colpevole di uno sfruttamento spudorato, a danno di un ecosistema sull'orlo del cedimento ambientale, e in Moon si è visto costretto a cercare una nuova fonte di sostentamento; un’utopia per i tempi che corrono. Nel film inoltre la totale assenza di rispetto, agevolata da una sempre maggior mancanza di un qualsiasi principio etico, morale e sociale, ha portato l’uomo a sostituirsi addirittura al creatore e alle sue leggi di procreazione; cosa che nella realtà sta pian piano accadendo. Infatti, tra le tematiche del film, si parla pure di clonazione umana (stile Blade Runner dove i replicanti erano capaci di piangere) per accentuare la sublime perdita totale della concezione di vita vista come dono, e qui proiettata verso soddisfacimento di un lavoro estremo.
Sam Bell è il sorvegliante di una miniera decisiva per le nostre risorse energetiche, ma non fa granché. Ogni tanto esce su un bulldozer in un ambiente ostile e sinistro, controlla che alla miniera, interamente automatizzata, tutto sia a posto, poi torna alla base. Sempre solo. Fatto salvo il servizievole e quasi umano computer di bordo, Gerty, che richiama ovviamente l'Hall 9000 di 2001 Odissea nello spazio (che cambiò la visione tecnologica degli spettatori dei tempi) perché anche in Moon non siamo sulla Terra. Il film si apre su Sam quasi alla fine del suo triennio, desideroso di tornare sulla Terra da moglie e figlia con le quali comunica solo via video. Salvo scoprire, quando inizia ad accusare malesseri e allucinazioni, che l'infido Gerty (voce di Kevin Spacey in originale) fa il gioco sporco. Qualcuno dovrà arrivare a sostituirlo, ma le cose stanno molto diversamente da come sembrano e il rientro a casa per Sam sarà tutt'altro che facile. La chiave del film si manifesta sin troppo presto e soprattutto il senso d’angoscia del non ritorno accompagna tutta la trama. Infatti, come Solaris di Soderbergh, la solitudine umana ha un ruolo ben definito nel film. La distanza dalla donna amata rende il percorso un attesa straziante che perdurerà durante tutto il tragitto, una sorta di sentimentalismo cosmico che nutre la speranza col ricordo dell’amata. Altro tema percorso, tra i più belli e allo stesso tempo inquietanti della fantascienza del Novecento, è un futuro in cui le macchine potrebbero avere più cuore degli umani. Infatti Gertie, come l’Hall 9000, è capace d’interagire con gli esseri umani e soprattutto di andare contro la volontà di chi lo ha creato, una sorta ribellione della fredda macchina. In Moon notiamo, come Gertie, all’inizio esegua alla lettera i comandi della casa base, poi invece instaura una sorta d’amicizia con Sam che lo porta ad andare contro gli interessi della compagnia quando (alla fine del film), resettandosi la memoria, all’arrivo dei tecnici, permettere la fuga del protagonista verso la terra.
Il finale della pellicola resta aperto a vari scenari, nonostante una conclusione definitiva sarebbe stata molto più efficace, sempre che non ci sia un seguito in futuro.
Moon, non utilizza effetti digitali e computerizzati ma torna ai modellini vecchio stampo stile anni ’70, infatti, anche per questo ha avuto un costo esiguo e un successo tre volte tanto e ha dato modo allo spazio di riconquistare il suo potere originale e la sua carica misteriosa andata perduta nella deriva della tendenza del genere, desiderosa di scaricare sullo spettatore le maggiori tecniche e gli effetti del cinema del terzo millennio, finendo per trovare sempre più gli alieni e mai gli uomini.
Gradevole per gli amanti del genere e noioso per coloro che preferiscono altri tipi di film, infatti il capolavoro di Duncan Jones è pesante per i novizi odierni che cercano spettacolarità e intrecci di trama.
Moon ci lascia con delle riflessioni non indifferenti sul futuro della parte umana dell’uomo, ricordandoci che prima di scoprire l’esistenza di eventuali civiltà aliene, dobbiamo realmente prendere in considerazione come l’innesto di nuove tecnologie sempre più avanzate, a livello mondiale, possa modificare la concezione della morale umana.
A che prezzo vendereste la vostra umanità?
Il finale della pellicola resta aperto a vari scenari, nonostante una conclusione definitiva sarebbe stata molto più efficace, sempre che non ci sia un seguito in futuro.
Moon, non utilizza effetti digitali e computerizzati ma torna ai modellini vecchio stampo stile anni ’70, infatti, anche per questo ha avuto un costo esiguo e un successo tre volte tanto e ha dato modo allo spazio di riconquistare il suo potere originale e la sua carica misteriosa andata perduta nella deriva della tendenza del genere, desiderosa di scaricare sullo spettatore le maggiori tecniche e gli effetti del cinema del terzo millennio, finendo per trovare sempre più gli alieni e mai gli uomini.
Gradevole per gli amanti del genere e noioso per coloro che preferiscono altri tipi di film, infatti il capolavoro di Duncan Jones è pesante per i novizi odierni che cercano spettacolarità e intrecci di trama.
Moon ci lascia con delle riflessioni non indifferenti sul futuro della parte umana dell’uomo, ricordandoci che prima di scoprire l’esistenza di eventuali civiltà aliene, dobbiamo realmente prendere in considerazione come l’innesto di nuove tecnologie sempre più avanzate, a livello mondiale, possa modificare la concezione della morale umana.
A che prezzo vendereste la vostra umanità?
Orazio Ardizzone
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